Fiabe di corpi narranti. La poetica pedagogica della differenza

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Leonardo Acone

Abstract

Il filtro fiabesco, sovente, funge da ‘grandandolo pedagogico’ e consente di amplificare la valenza formativa e lo spettro di inquadramento di cose e persone. Quando Hans Christian Andersen, nel cuore dell’Ottocento, tesseva la trama delle sue struggenti narrazioni, lo faceva partendo da un dato ineludibile ed ‘avvertibile’: il corpo dei piccoli protagonisti. Che si trattasse di umani, oggetti, animali, il dispositivo fiabico narrante consisteva nello scarto dalla cosiddetta normalità; una eccentricità corporea che si rivelava deposito di sofferenza, fucina di speranza, orizzonte d’attesa e baluardo di resilienza.


All’inizio del secolo successivo, Guido Gozzano riproponeva questa ‘poetica corporea del racconto’, sublimandola nelle tinte eteree e sfuggenti dell’incanto: Piumadoro e Piombofino, Nevina e Fiordaprile sono, a tal proposito, due fiabe emblematiche che raccontano di opposti irrisolvibili, di disilluse prospettive e di sfide coraggiose che solo l’infanzia di ogni tempo può affrontare e sostenere.

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Sezione
Saggi

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