Buone prassi |
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Modelli di “core competence” dei profili professionali in uscita dai percorsi universitari per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro |
di Antonella Lotti | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il rapporto tra mondo del lavoro e mondo della formazione può essere indagato secondo numerosi punti di vista. In questo caso si sceglie uno sguardo pedagogico e didattico e si analizza il costrutto della progettazione per competenze come possibile ponte tra mondo della formazione e mondo del lavoro. Vengono analizzati quattro modelli di progettazione per competenze di profili professionali (modello UE, modello Tuning, modello CanMEDS e modello di Guilbert). Si descrivono alcune esperienze italiane in cui il sapere pedagogico/didattico ha favorito la definizione di profili professionali per competenze per mettere in relazione il mondo del lavoro con il mondo della formazione (profilo per competenze degli infermieri, dei fisioterapisti, degli educatori professionali, dei dietisti). The relationship between the world of education and the world of labour could be analysed according many point of views. In this paper the author chooses the educational point of view and focuses her interest on the backward planning by competences and explores how backward planning could be a bridge between the two worlds. Four models are described: European Union model, Tuning project model, CanMEDS model and Guilbert’s model. Some Italian experiences are analysed, and the core competences of Nurses, Physiotherapists, Educators and Dieticians.
1. Introduzione
La domanda su quale sia il ruolo del sapere pedagogico rispetto al tema che affronta la “relazione formazione–lavoro”, nella prospettiva dell’apprendimento permanente, è un interrogativo intrigante che obbliga a riflettere sul collegamento tra mondo del lavoro e mondo della formazione e sui molteplici nessi che li mettono in contatto. I punti di vista possono essere multidisciplinari, e gli sguardi potrebbero essere sociologici, economici, politici, filosofici; in questo contesto ci si sofferma sulla chiave di lettura pedagogica e didattica. Lo sguardo pedagogico-didattico porta a ipotizzare che un possibile “ponte” che collega il mondo della formazione e il mondo del lavoro risieda nel costrutto e nel dispositivo della progettazione formativa per competenze. La progettazione per competenze spinge il mondo della formazione, in particolare modo la formazione professionale e la formazione universitaria, a definire i traguardi dell’apprendimento interrogandosi su quali siano le competenze che il mondo del lavoro richiede. I punti di contatto tra lavoro e formazione, quindi, si possono identificare nella definizione delle competenze, e conseguentemente nella scelta di metodi formativi che privilegino esperienze in ambienti reali o simulati, nella scelta di metodi di valutazione che garantiscano il raggiungimento di alcune competenze richieste dal mondo del lavoro, nella formazione di figure di accoglienza (mentor, tutor o coach) che favoriscano la transizione dalle aule scolastiche e universitarie, e che facilitino lo sviluppo continuo delle competenze professionali durante tutto l’arco della vita. In questo articolo ci si vuole soffermare sui modelli di progettazione per competenze che, in ambito universitario, potrebbero essere utilizzati per favorire una formazione mirata all’acquisizione di competenze richieste dal mondo del lavoro, sviluppando al tempo stesso abilità di occupabilità, senza dimenticare lo spirito critico e riflessivo auspicato da John Dewey (1933). I modelli illustrati sono quattro (modello UE, modello Tuning, modello CanMEDS e modello di Guilbert) di cui due sono generalisti e due riferiti al mondo delle professioni mediche e sanitarie. Il modello di Guilbert viene descritto con riferimento alle esperienze italiane di definizione delle “core competence” di infermieri, fisioterapisti, educatori professionali, dietisti e osteopati. Al termine dell’illustrazione delle caratteristiche di questi modelli si evidenzieranno i nuclei tematici e strategici su cui il sapere pedagogico può contribuire in modo distintivo per favorire un rapporto virtuoso tra mondo della formazione e mondo del lavoro (ricerca teorica ed empirica sulla definizione delle competenze, sulle strategie di insegnamento e apprendimento, sul sistema di valutazione, sulla formazione dei formatori). 2. Modello dell’UE Il 18 e 19 giugno 1999 29 ministri europei dell’educazione si incontrarono a Bologna e decisero di voler creare lo Spazio Europeo dell’Istruzione superiore, caratterizzato da programmi centrati sullo studente e da un sistema di assicurazione della qualità. La dichiarazione di Bologna sanciva la volontà di favorire la circolazione dei cittadini, la loro occupabilità, lo sviluppo del Continente e si dava sei obiettivi da raggiungere tra cui l’adozione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità. L’obiettivo della comparabilità porta a riflettere sui risultati dell’apprendimento al termine dei programmi di studio e pone la necessità di adottare un nuovo approccio per pianificare i corsi. Si usa il termine Learning Outcome e si pone l’accento su Output, in contrasto con la logica dell’Input, intendendo con Input l’approccio trasmissivo in cui il docente trasmette le sue conoscenze e dà input agli studenti. Al contrario, l’Output pone l’accento sul risultato di apprendimento conseguito da parte dello studente. Nel 2004 la conferenza di Bologna si incontra a Edinburgo dove si sofferma sul concetto di Learning Outcome come punto di partenza indispensabile per realizzare la trasparenza dei titoli e dei programmi di studio. In quell’occasione i Learning Outcome vengono definiti: “statements of what a learner is expected to know, understand and/or be able to do at the end of a period of learning. (Definizione di ciò che un discente deve sapere, comprendere e/o essere in grado di fare al termine di un periodo di apprendimento)”. Con questa definizione vi è lo spostamento da un approccio centrato sull’insegnamento a un approccio centrato sull’apprendimento. La pianificazione dei curricula deve essere orientata a far raggiungere a ogni studente i suoi learning outcomes. Conseguentemente i programmi di studio non devono semplicemente dichiarare i contenuti che vengono affrontati ma devono definire le competenze, che devono essere sviluppate e raggiunte dai laureati, e i learning outcome, che devono essere raggiunti dagli studenti al termine dei loro corsi. Il significato attribuito al termine Competenza nei documenti del processo di Bologna è tratto dall’European Qualification Framework che stabilisce che per Competenza si intende “l’abilità provata di usare conoscenze, skills e abilità personali, sociali e metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo personale e professionale” (Raccomandazione Commissione Europea GUCE C111/01 2008/C). Conseguentemente possiamo dire che le competenze intese come provata abilità ad usare conoscenze, skills e abilità personali, sociali e metodologiche in situazioni di studio devono essere raggiunte al termine di un processo formativo, mentre le competenze intese come provata abilità ad usare conoscenze, skills e abilità personali sociali e metodologiche in situazioni di lavoro devono essere raggiunte dai laureati dopo qualche anno dalla laurea. L’European Qualification Framework (EQF) o Quadro Europeo delle qualificazioni definisce otto livelli dell’istruzione e attribuisce al livello 6 i titoli della laurea triennale, al livello 7 tutti i titoli conseguiti con le lauree magistrali e i master, e al livello 8 i titoli conseguiti con programmi di dottorato. Nel Quadro di riferimento delle Qualifiche, i Learning Outcomes sono definiti secondo la triplice articolazione: Conoscenze, Skills e Competenze. Conseguentemente i programmi dei corsi di studio devono essere formulati definendo i Learning Outcomes riconducibili secondo questa articolazione: Conoscenze, Skills e Competenze (Figura 1). Secondo la prospettiva europea, è importante che i programmi siano sviluppati seguendo un set di descrittori generali che devono essere presenti in ogni definizione di programma e che sono noti come i Descrittori di Dublino:
Figura 1
3. Modello di Tuning Nel 2000 l’Unione Europea finanziò un progetto, rivolto alle istituzione di educazione superiore, con particolare attenzione alle Università, per facilitare l’attuazione del processo di Bologna e il cambio di paradigma che prevedeva il passaggio da un approccio centrato sul docente a un approccio centrato sullo studente. Il progetto si chiamava Tuning e indicava già nel nome la volontà di armonizzare i programmi per favorire una comparabilità dei vari corsi e la mobilità di studenti e docenti nello spazio europeo dell’istruzione superiore. Il progetto Tuning ha travalicato i confini dell’Unione Europea ed è diventato una realtà mondiale che coinvolge 53 Paesi. Il suo motto è “Armonizzare le strutture e i programmi formativi sulla base della diversità e dell’autonomia”. Gli scopi di Tuning sono quelli di ri-progettare i corsi di studio a livello triennale, magistrale e di dottorato in modo che siano comparabili, trasparenti e favoriscano la mobilità. Gli esperti di Tuning propongono un template o schema che permette di visualizzare facilmente un corso di studio e che è composto da sei sezioni (lo scopo del corso, le sue caratteristiche, l’occupabilità o ulteriore percorso formativo, le strategie di insegnamento-apprendimento-valutazione, le competenze attese, l’elenco completo dei learning outcomes). Questo template rappresenta un ponte tra il mondo della formazione e il mondo del lavoro perché obbliga a definire con chiarezza il profilo in uscita, in modo che sia riconoscibile anche dal mondo del lavoro, spinge i docenti universitari a interrogarsi sull’occupabilità della figura formata, cioè se il titolo rilasciato è richiesto o riconosciuto da organismi, ordini o associazioni di categoria. In ultimo prevede la formulazione di competenze specifiche e generali, intendendo con queste ultime quelle abilità trasversali ricercate appunto dal mondo del lavoro. Alcune ricerche rivelano che le aziende sono di solito soddisfatte dalle competenze tecniche dei laureati che fuoriescono dalle Università italiane e straniere, ma lamentano la carenza di competenze trasversali. Tuning affronta questa criticità stilando un elenco di trenta competenze generali che dovrebbero diventare traguardi attesi al termine di ogni corso di laurea triennale e magistrale e le raggruppa in tre tipi:
È estremamente interessante notare che le raccomandazioni su come scrivere correttamente i learning outcomes rimandino a un grande pedagogista degli anni Cinquanta, Benjamin Bloom, e alle sue celeberrime tassonomie (Bloom, 1956; Tuning, 2010). Gli esperti di Tuning fanno sempre riferimento a Bloom ed esortano a scrivere i learning outcomes allo stesso modo in cui Robert Mager (1975) insegnava nei sui agili libri raccomandando di indicare un verbo attivo, un oggetto, un contesto e un criterio. Declan Kennedy e i suoi collaboratori (Fitzpatrick, Byrne & Kennedy, 2009) riprendono tutti i verbi indicati da Bloom e li ripropongono con schemi, immagini ed esempi tratti dagli obiettivi educativi afferenti alle più diversificate discipline universitarie. Il sapere pedagogico diventa fondamentale e dà rigore scientifico alla scrittura di competenze e learning outcomes, che sono le pietre angolari su cui poggia lo spazio europeo dell’istruzione superiore. Grande attenzione viene dedicata alle strategie formative e valutative, le quali possono concretamente favorire la realizzazione del cambio di paradigma. Nei documenti dell’Unione Europea vi è un’enfasi sempre maggiore sulla didattica attiva e sui metodi che favoriscono la partecipazione attiva degli studenti. Da Bergen nel 2005 a Yerevan nel 2015, i ministri europei dell’educazione raccomandano l’introduzione di metodi – di apprendimento/insegnamento e di valutazione – innovativi che favoriscano la creazione di ambienti di apprendimento in cui si realizzi un’educazione centrata sullo studente. Il sapere pedagogico quindi è chiamato prepotentemente a riflettere e ricercare sulle teorie del curriculo, sulla definizione di competenze e learning outcomes, sulle strategie formative e valutative e sulla formazione dei formatori.
4. Modello di CanMEDS
All’inizio degli anni Novanta il Royal College of Physicians canadese, l’ordine dei medici canadese, ha avviato un lavoro dal basso per definire con chiarezza quali fossero le competenze richieste ai medici in risposta ai bisogni di salute dei cittadini. Il lavoro basato su revisioni sistematiche della letteratura, interviste, focus group portò a descrivere i sette ruoli che caratterizzano la figura del medico. Questi sette ruoli vennero resi graficamente con l’immagine di un fiore a sei petali e un centro comune: medico esperto, comunicatore, collaboratore, leader, formatore, professionista, e politico della salute (Figura 2). Figura 2 Ogni ruolo del medico viene illustrato chiaramente con una breve definizione, una descrizione approfondita, l’indicazione dei concetti chiave, le competenze chiave e le competenze contributive. Il Royal College of Physicians ha quindi descritto con chiarezza le competenze attese da un buon medico e ha avviato un processo che ha portato ad adottare questo approccio nel 1996 e poi, nella sua forma rivista, nel 2005. Successivamente i presidi delle scuole di Medicina e i direttori delle scuole di specializzazione hanno richiesto di avviare la formazione dei formatori affinché queste competenze venissero fatte acquisire all’interno dei corsi di laurea universitari e post-universitari. Il Royal College ha quindi avviato una formazione di docenti universitari considerati leaders (i CanMED Champions) affinché formassero a loro volta altri docenti, in un sistema a catena. Per garantire che le competenze individuate fossero il punto di partenza della progettazione formativa, è stato introdotto lo strumento del Curriculum Mapping, una matrice a doppia entrata in cui i responsabili dei corsi devono indicare in che modo le competenze vengono scomposte in obiettivi educativi, quali metodi di insegnamento e di valutazione vengono prescelti, in quale momento del curricolo verranno insegnate e da chi. Oggi il CanMEDS viene utilizzato in tutto il continente nord-americano ed è stato trasferito anche in Europa per la formazione delle professioni sanitarie, in prima istanza in Svizzera. Anche in questo caso il sapere pedagogico è chiamato ad affrontare due temi pedagogici strategici: il curricolo e la formazione pedagogica dei docenti universitari. 5. Modello di Jean-Jacques Guilbert Nel 1970 Jean-Jacques Guilbert, un medico francese con dottorato di ricerca in Educazione conseguito in California, direttore del Centro africano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la formazione dei docenti universitari, pubblica la Guida Pedagogica per il personale sanitario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Guilbert, 2002) che diverrà uno dei testi di riferimento di tutti coloro che si occuperanno di formazione dei medici e dei professionisti della salute. Guilbert utilizzava la sua Guida, tradotta in 14 lingue e utilizzata in 35 Paesi, negli ateliers pedagogici per i docenti universitari di Medicina in tutto il mondo: l’atelier pedagogico era un corso residenziale della durata di tre giorni rivolto a una trentina di docenti universitari, che venivano condotti a identificare i problemi prioritari di salute di una data comunità, a delineare il profilo professionale del medico, a scegliere i metodi di insegnamento più efficaci e i metodi di valutazione più validi e oggettivi. Il profilo professionale era composto da funzioni, attività e compiti professionali che corrispondevano a obiettivi educativi generali, intermedi e specifici. Oggi, alla luce della letteratura di settore, possiamo dire che le funzioni e le attività professionali corrispondono alle competenze e che gli obiettivi specifici sono coincidenti con i learning outcomes. Guilbert propone una tassonomia semplificata degli obiettivi educativi di Bloom: campo della sfera intellettiva, campo della comunicazione interpersonale e campo dei gesti o tecniche procedurali. Ogni campo (intellettivo, comunicativo, tecnico-gestuale) si articola solo su tre livelli tassonomici. La Guida pedagogica di Guilbert si apre con la dichiarazione che la formazione deve essere orientata alla comunità e centrata sull’apprendimento, dimostrando con questa affermazione la sua lungimiranza e attualità. In Italia il mondo delle professioni sanitarie riconosce in Guilbert un punto di riferimento e si rivolge a lui per definire con chiarezza il proprio profilo professionale e le core competences, proprio nel momento in cui le leggi dello Stato sanciscono con decreti ministeriali i profili professionali e determinano che la formazione diventi universitaria. Nel 1997 la Federazione nazionale Collegi IP.AS.VI., che comprende tutti i cento collegi degli infermieri italiani, chiede a Guilbert di guidare un gruppo di studio e ricerca affinché vengano definite le competenze distintive degli infermieri e tracciate le linee guida della formazione universitaria triennale e magistrale (Gamberoni, Grilli, Lotti, Marmo, Massai & Saiani, 1999). I primi lavori vengono pubblicati nel 1999. Successivamente anche l’Associazione Italiana dei Fisioterapisti decide di definire le core competence dei fisioterapisti, che culmineranno nella pubblicazione di un testo nel 2003, seguita dall’Associazione Nazionale degli Educatori professionali nel 2010 e dall’Associazione Nazionale dei Dietisti nel 2012. In questa situazione notiamo che sono gli stessi Collegi professionali e le associazioni di categoria che si avvalgono del sapere pedagogico per comunicare con chiarezza al mondo accademico quali dovrebbero essere le competenze professionali da far acquisire al termine del percorso formativo universitario. In tutte e quattro le esperienze il sapere pedagogico ha giocato un ruolo determinante di guida rigorosa per definire con chiarezza e precisione le competenze distintive di ogni figura professionale, per scrivere in modo formalmente corretto e ispirato le singole competenze, per classificarle secondo le tassonomie di Bloom e riviste da Guilbert, per dare indicazioni sui metodi di apprendimento e insegnamento più efficaci e centrati sullo studente, e sui metodi di valutazione validi e oggettivi.
6. Esempi italiani
Il core competence degli infermieri Nel 1997 la Federazione Nazionale Collegi IP.AS.VI. chiese al dottor Guilbert, autore della Guida Pedagogica per il personale della salute, e già direttore della Divisione Pianificazione dei programmi del personale di cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di guidare un piccolo gruppo di specialisti in assistenza infermieristica, sia infermieri che docenti, alla costruzione delle linee guida per la formazione di base delle future generazioni di infermieri. Il dottor Guilbert propose di essere coadiuvato da una pedagogista esperta in Pedagogia delle scienze della salute. Nel 1997 il gruppo iniziò a lavorare e licenziò al termine del primo anno le linee guida per la formazione complementare. L’anno successivo la Federazione Collegi IP.AS.VI. commissionò un secondo lavoro mirato a definire le linee guida per un progetto di formazione di base dell’infermiere. Da poco tempo la formazione degli infermieri era passata dalla Regione all’Università, e si iniziava a parlare di corso di laurea triennale e specialistica. Non era chiaro quali competenze bisognasse far raggiungere al termine del primo triennio e del successivo biennio. Guilbert propose di condividere innanzitutto quattro principi ispiratori: la pertinenza rispetto ai problemi prioritari di salute della comunità, l’educazione centrata sullo studente, la valutazione delle competenze, la formazione della figura professionale nel suo insieme. Nel 1998 un nuovo gruppo di lavoro iniziò a lavorare e individuò i grandi problemi di salute della popolazione e di qualità dei servizi, grazie alla raccolta di evidenze scientifiche e dati epidemiologici. I problemi prioritari individuati furono: le malattie cerebrovascolari, gli incidenti, i tumori, il diabete, le nefropatie, le malattie respiratorie, l’AIDS e il disagio psichico. Successivamente il gruppo si dedicò alla definizione del prototipo, ossia del profilo per competenze dell’infermiere. Dopo ampio dibattito interno ed esterno, condotto nelle proprie comunità di pratica, il profilo professionale dell’infermiere, così come previsto dal D.M. 739/1994 venne scomposto in sei grandi funzioni (prevenzione/diagnosi precoce ed educazione alla salute; assistenza; educazione terapeutica finalizzata all’autogestione della malattia, del trattamento e della riabilitazione; gestione; formazione; ricerca), 12 attività di primo livello e 87 attività professionali di secondo livello o core competenze. Questo prototipo venne poi declinato secondo i problemi prioritari di salute, incrociando le funzioni dell’infermiere con ogni problema di salute. Ne scaturì un elenco di competenze dell’infermiere contestualizzato e pertinente rispetto ai bisogni di salute della comunità. Ogni competenza venne classificata sulla base delle tassonomie di Bloom riviste da Guilbert (competenze intellettive, comunicative e tecnico-gestuali) per facilitare la scelta dei metodi di valutazione e degli ambiti di apprendimento. Per ogni problema prioritario di salute il gruppo stilò le competenze attese, declinate secondo il prototipo, utilizzando lo strumento grafico dell’albero delle attività e dei concetti (Figura 3), poi definì le competenze, classificate secondo le tassonomie, e indicò per ogni competenza quale era il metodo di valutazione più valido e l’ambiente di apprendimento da prediligere.
Figura 3 Questo lavoro fu pubblicato nel 1999 e venne utilizzato in alcune università italiane per orientare le attività delle discipline infermieristiche e del tirocinio professionalizzante che comprende 1500 ore (Gamberoni et al., 1999; Lotti & Di Pace, 2011). I corsi di laurea in Scienze infermieristiche, motivati a far raggiungere le core competenze ai propri studenti, iniziarono a introdurre nuove metodologie didattiche quali il problem based learning, il gioco dei ruoli, la didattica laboratoriale, i contratti di apprendimento, le attività di briefing e de-briefing prima e dopo i tirocini, le Medical Humanities, le simulazioni ad alta, media e bassa fedeltà e molte altre innovazioni didattiche. Anche il sistema di valutazione venne studiato e innovato con l’introduzione di metodi validi mirati alla valutazione delle competenze e non solo delle conoscenze: esame orale strutturato o triplo salto, esame a stazioni o esame clinico oggettivo strutturato, portfolio, rubriche, mappe concettuali e molti altri. I pedagogisti contribuirono alla formazione dei docenti di infermieristica su tutto il territorio nazionale diffondendo il sapere pedagogico con particolare riferimento alle teorie del curricolo, alle strategie formative, alla valutazione formativa e sommativa, alla formazione dei tutor clinici e guide di tirocinio.
Il core competence dei fisioterapisti Nel 2002 l’Associazione Italiana Fisioterapisti decide di contribuire al processo di miglioramento della formazione dei futuri fisioterapisti e di offrire uno strumento mirato a garantire standard formativi in grado di soddisfare le attese degli studenti e dei cittadini che necessitano di efficace riabilitazione. L’AIFI decide quindi di avviare un gruppo di lavoro competente, affidabile e appassionato guidato sempre da Guilbert e da una pedagogista esperta di Pedagogia delle scienze della salute. Il gruppo lavora per oltre un anno per definire i problemi prioritari di salute della propria popolazione di riferimento, le funzioni professionali del fisioterapista, le core competences e per costruire strumenti di valutazione validi per verificare il raggiungimento delle competenze individuate (AIFI, 2003). In questo caso le macro-funzioni o competenze sono cinque: prevenzione, cura e riabilitazione, formazione, ricerca e gestione. Le core competences individuate sono 103. Il libro che traccia le linee guida per la formazione del fisioterapista si concentra sul prototipo e le sue core competence, i metodi e strumenti di valutazione, le metodologie per la formazione, le strategie per introdurre un cambiamento nella didattica universitaria e la formazione dei formatori (Lotti, 2003a). Le linee guida ottengono un ampio consenso nell’ambito della comunità dei fisioterapisti, i quali continuano il lavoro delle core competence precisando ulteriormente quelle da raggiungere in tirocinio. Anche in questo caso vengono avviate alcune sperimentazioni, incoraggiate e supervisionate da pedagogisti, mirate a introdurre metodologie didattiche attive, nuovi metodi di valutazione e percorsi di formazione dei formatori e dei tutor clinici. In questo caso la progettazione per competenze rappresenta proprio il ponte tra mondo del lavoro e mondo della formazione, perché le core competences vengono utilizzate come mappa di pianificazione e orientamento di ben 60 crediti formativi universitari: gli studenti devono raggiungere le core competence durante il periodo di tirocinio che dura appunto 1500 ore. In questo anno di formazione sul campo, gli studenti hanno una guida sicura che li orienta e favorisce la costruzione della loro identità professionale. Il core competence degli educatori professionali Nel 2007 l’Associazione Nazionale degli Educatori Professionali chiede a Guilbert di guidare un gruppo di lavoro di educatori alla definizione della figura dell’educatore professionale. Dopo aver partecipato a un workshop formativo sui principi della Guida pedagogica, il gruppo ha iniziato a lavorare e a formulare le funzioni e le attività di un EP. Con il passare dei mesi le funzioni e le attività sono divenute sempre più pertinenti, omogenee e chiare. Il lavoro dell’ANEP non è stato facile in quanto non vi erano esempi con cui potersi confrontare: le figure del medico e dell’infermiere sono più riconosciute e oggetto di regolamenti comunitari. Anche nel caso degli educatori il gruppo ha individuato i problemi prioritari di salute, articolati intorno a sei grande aree (minori, adulti, anziani, disabilità, disagio psichico e dipendenze), e successivamente ha definito le funzioni e le attività o core competenze. In questo caso le core competenze sono 109 (Allegato 1). Il gruppo di lavoro pubblica un testo per condividere con la propria comunità di pratica il frutto della ricerca (Crisafulli, Molteni, Paoletti, Scarpa, Sambugaro & Giuliodoro, 2010). In questo caso il sapere pedagogico gioca un ruolo importante perché riflette sulla figura che si avvale delle scienze dell’educazione come fonte teorica del suo agire professionale. Inoltre il core competence dell’educatore professionale può rappresentare una base di confronto per la costruzione di un altro core competence, quello dell’educatore sociale. Come è noto in Italia vi è una discussione in atto a livello parlamentare sull’opportunità di riconoscere la figura dell’educatore e del pedagogista. Il core competence potrebbe essere uno strumento per definire con chiarezza le competenze distintive delle due figure (educatore professionale già normato con D.M. 520/1998 ed educatore sociale oggetto della proposta di legge Iori Binetti) e permettere una regolamentazione normativa efficace e una conseguente formazione universitaria differenziata, se necessario. In questo caso la progettazione per competenze permetterebbe una base di confronto tra mondo del lavoro e mondo della formazione al fine di differenziare con precisione i ruoli delle due figure e i conseguenti percorsi formativi. Alcune università italiane hanno avviato una didattica per competenze e una valutazione delle competenze dell’educatore: partendo dalle core competence di ANEP, il corso di laurea per educatori di Imola, ad esempio, ha creato una curriculum map, introdotto laboratori didattici e corsi interamente erogati con il metodo Problem-Based Learning, e pianificato l’esame a stazioni o esame oggettivo strutturato come esame di tirocinio per il passaggio da un anno di corso a quello successivo. Il core competence dei dietisti Nel 2012 l’Associazione Nazionale dei Dietisti ha chiesto al Centro di Medical Education dell’Università di Genova di coordinare e supervisionare il lavoro mirato alla definizione delle core competenze del dietista. Anche in questo caso è stato creato un gruppo di lavoro, eterogeneo per provenienza geografica, che comprendeva professionisti del settore e docenti universitari. Il core competenze venne articolato intorno a funzioni e articolato in numerose e dettagliate attività. Le linee guida furono presentate al Congresso nazionale e pubblicate online nel 2014. L’ANDID decise di concentrarsi sulla valutazione finale o prova finale laddove si può certificare il raggiungimento delle competenze raggiunte dagli studenti al termine del corso di laurea. É una scelta strategica per provare a condizionare tutto l’impianto didattico del corso di laurea. Il sapere pedagogico si concentra quindi sul mondo della docimologia e della valutazione.
7. Il sapere pedagogico e la progettazione per competenze come ponte tra mondo della formazione e mondo del lavoro
Alla luce dei quattro modelli presentati e delle esperienze italiane descritte, si può evincere che il sapere pedagogico e didattico gioca un ruolo significativo nel rapporto tra mondo del lavoro e mondo della formazione. Prima di tutto il sapere pedagogico fornisce il linguaggio scientifico grazie al quale gli Ordini professionali, le associazioni e i collegi possono definire in termini di competenze le loro attese dal mondo della formazione. La scrittura delle competenze e dei learning outcomes richiede una conoscenza della letteratura di settore, dei modelli teorici e degli autori di riferimento: il modello comportamentista, che aveva introdotto il concetto di obiettivo educativo come comportamento atteso al termine di un percorso formativo, e alcuni autori degli anni Cinquanta e Sessanta, come Benjamin Bloom e Robert Mager, vanno conosciuti per poter poi comprendere la filosofia e la struttura lessicale dei learning outcome e delle tassonomie. Le competenze e i learning outcomes dovrebbero essere scritti utilizzando i verbi in modo consapevole, perché ad ogni verbo corrisponde un livello tassonomico differente che, a sua volta, corrisponde a un livello del Quadro Europeo delle Qualifiche. A questo proposito è interessante citare il progetto COGS (Changemaker Outcomes for Graduate Success) condotto dai pedagogisti dell’Università di Northampton che differenzia i verbi dei Learning Outcomes sugli otto livelli dell’EQF. Il sapere pedagogico contribuisce a chiarire la pluralità di significati che oggi viene attribuita al termine competenza: l’apporto di pedagogisti italiani e stranieri aiuta a comprendere la genesi di questo termine, la sua evoluzione, definizione e applicabilità nel mondo della scuola, della formazione e del lavoro. La Competency-based education è un costrutto oggetto di studi teorici importanti a livello internazionale che spinge a una ricerca teorica prima che empirica, riprendendo le tradizioni comportamentiste degli anni Cinquanta, per essere rilanciato oggi con più forza. La progettazione per competenze è oggetto, inoltre, di ricerca teorica e pratica come ben dimostrano le matrici di progettazione per competenze proposte da Maccario e Castoldi: le matrici guidano i docenti a pianificare moduli didattici per competenze, indicando conoscenze e abilità metodi di insegnamento/apprendimento, metodi di valutazione e risorse necessarie. Le strategie formative svolgono un ruolo di cerniera tra mondo della formazione e mondo del lavoro: il sapere pedagogico suggerisce architetture formative (Bonaiuti, 2014) e la descrizione di metodi formativi (Calvani, 2000) che favoriscono l’acquisizione di competenze. La gamma dei metodi spazia da quelli che offrono la possibilità di confrontarsi con problemi presi dal mondo del lavoro, come nel Problem-based Learning o nel Project-Based Learning, a quelli che ti immergono nel mondo del lavoro in modo simulato (simulation game, laboratori didattici, centri di simulazione) o in modo reale (tirocinio). Il ruolo della riflessività acquista un valore fondamentale per favorire la riflessione sull’esperienza e un apprendimento significativo. Nei modelli teorici presentati vi è un appello ricorrente alla didattica attiva e all’utilizzo di metodi formativi che pongano gli studenti in una posizione attiva. Le esperienze italiane dimostrano che laddove si è adottato un modello per competenze venivano contestualmente introdotte strategie formative attive quali il PBL, il gioco dei ruoli, le esperienze precoci in ambito professionale con attività riflessive quali sessioni di briefing e de-briefing e diari di bordo. La valutazione, formativa e certificativa, gioca un ruolo fondamentale e si differenzia in: formativa, quando offre un feed-back allo studente sul suo percorso formativo; certificativa, quando certifica il raggiungimento delle competenze. Nelle esperienze italiane descritte si è potuto notare l’utilizzo di metodi di valutazione attenti all’acquisizione di competenze: il triplo salto o esame orale strutturato, mirato a verificare la capacità di orientarsi di fronte a un problema nuovo; l’esame oggettivo strutturato o esame a stazioni che verifica in modo oggettivo e standardizzato l’acquisizione di abilità anche complesse; il portfolio; le rubriche e le mappe concettuali. Il sapere pedagogico, e in particolare modo il contributo della docimologia e degli studi sul sistema di valutazione, sono utili per studiare teoricamente nuove forme di valutazione e per ricercare poi l’affidabilità dei metodi prescelti grazie a ricerche statistiche. In ultimo, un tema che emerge trasversale è la formazione dei formatori: la progettazione per competenze richiede abilità progettuali ai docenti e lo svolgimento di ruoli di mentorship, coaching e tutorship che accompagnino i discenti nel percorso verso il raggiungimento di learning outcomes e competenze. Il sapere pedagogico svolge un ruolo affascinante nel recuperare la tradizione classica del mentore e i concetti di scaffolding di vygotskyana memoria per offrire spunti di ricerca teorica ed empirica sull’importanza del ruolo di coach, mentor e tutor nella fase iniziale della formazione, nel momento dell’ingresso nel mondo del lavoro e nel periodo della formazione continua sul campo. Tutte le esperienze analizzate, internazionali e italiane, raccomandano la formazione dei formatori come snodo per introdurre un approccio per competenze.
8. Considerazioni conclusive Il sapere pedagogico può favorire non solo la comunicazione tra mondo del lavoro e mondo della formazione, ma anche contribuire significativamente all’istaurarsi di un rapporto virtuoso mirato al miglioramento della qualità dei servizi formativi e occupazionali. Il sapere pedagogico può offrire modelli di sviluppo delle competenze che fungano da cerniera tra i due mondi. Se da una parte vi è il rischio che l’Università viva come una torre d’avorio avulsa dai problemi della comunità e dalle richieste delle aziende e dei servizi, dall’altra vi è la reale possibilità che la formazione e il lavoro comunichino in modo attivo, concreto e produttivo. Le indicazioni europee per una formazione centrata sullo studente e sulle competenze obbligano a interrogarsi su quali competenze siano richieste dal mondo del lavoro e della società civile. Il sapere pedagogico quindi è interpellato a definire con chiarezza i modelli di formazione per competenze, a recuperare le teorie della pianificazione curriculare in avanti e in indietro (backward e forward planning), a fare ricerca sulle strategie formative valutative, a individuare quali metodi siano più adeguati per fare formazione dei formatori e quali strategie siano le più efficaci per introdurre i cambiamenti in sistemi complessi. Il sapere pedagogico deve recuperare i suoi autori, le sue teorie, le sue discipline, le sue prassi e le sue ricerche empiriche e sperimentali per poter assumere il ruolo di guida e supervisione che il mondo del lavoro necessita e le richiede, e che spesso viene giocato da altri saperi e professionisti. Allegato I
Bibliografia A.I.F.I. (2003). Linee guida per la formazione del fisioterapista. Core Competence. Milano: Masson. ANDID (2014). Il Core Competence del dietista. Linee guida per la formazione universitaria. Disponibile in: http://www.andid.it/servizi/news/item/il-core-competence-del-dietista. Bloom, B. (1986). Tassonomia degli obiettivi educativi. Area Cognitiva. Teramo: Lisciani Giunti. Bologna Working Group on Qualifications Frameworks.(2005). A Framework for Qualifications of the European Higher Education Area. Disponibile in: http://ecahe.eu/w/index.php/Framework_for_Qualifications_of _the_European_Higher_Education_Area. Bonaiuti, G. (2014). Le strategie didattiche. Roma: Carocci. Bozzolan, M., & Lotti, A.(2003). La formazione dei formatori. In AIFI, Linee guida per la formazione del fisioterapista. Core Competence. Milano: Masson. Calvani, A. (2000). Elementi di didattica. Roma: Carocci. Castoldi, M. (2013). Curricolo per competenze:percorsi e strumenti. Roma. Carocci Editore. Crisafulli, F., Molteni, L., Paoletti, L., Scarpa, P. N., Sambugaro, L., & Giuliodoro, S. (2010). Il “Core Competence” dell’educatore professionale. Milano: Edizioni Unicopli. Dewey, J. (1933). Come pensiamo. Firenze: La Nuova Italia. Fitzpatrick, J. J., Byrne, E. P., & Kennedy, D. (2009). Making programme learning outcomes explicit for students of process and chemical engineering. Education for Chemical Engineers, 4, 21-28. Frank, J. R., Snell, L., & Sherbino, J. (2014). CanMEDS 2015. Physician Competency Framework. Ottawa: Royal College of Physicians and Surgeons of Canada. Gamberoni, L., Grilli, G., Lotti, A., Marmo, G., Massai, D., & Saiani, L. (1999). Linee Guida per un progetto di formazione di base dell’infermiere. Roma: Federazione Nazionale Collegi IPASVI. Guilbert, J. J. (2002). Guida pedagogica per il personale sanitario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Bari: Edizioni Dal Sud. Lokhoff, J., Wegewijs, B., Durkin, K., Wagenaar, R., Gonzalez, J., Isaacs, A. K. et al. (2010). A Tuning guide to formulating degree programme profiles. Including programme competences and programme learning outcomes. Bilbao: Groningen and The Hague. Lotti, A. (2003a). Metodologie per la formazione. In AIFI, Linee guida per la formazione del fisioterapista. Core Competence. Milano: Masson. Lotti, A. (2003b) Strategie per introdurre il cambiamento nella didattica universitaria. In AIFI, Linee guida per la formazione del fisioterapista. Core Competence. Milano: Masson. Lotti, A., & Dipace, A. (2011) Dal core competence al core curriculum. In AA.VV., Il futuro della ricerca pedagogica e la sua valutazione. Roma: Armando editore. Maccario, D. (2006). Insegnare per competenze. Torino: SEI. Maccario, D. (2012). A scuola di competenze. Torino: SEI. Mager, R. F. (1975). Gli obiettivi didattici. Teramo: BIT Editrice Italiana Teramo. Paparella, N. (2009). Il progetto educativo. Roma: Armando Editore. |