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Transdisciplinarità come progetto politico. La crisi sociale come crisi culturale e di senso
di Lorena Milani   
DOI: 10.12897/01.00077

Nonostante il neologismo sia stato introdotto dal 1970 (Piaget, 1972), la transdisciplinarità resta ancora un concetto

da esplorare soprattutto nelle sue ricadute pragmatiche e di cambiamento. L’intento di questo contributo è quello di evidenziarne la forza teorica e la valenza progettuale. La transdisciplinarità traccia la via per un totale cambiamento culturale cui corrisponde un progetto politico transculturale. Accettando la sfida della transdisciplinarità, questo contributo vuole leggere il problema della crisi attuale come un problema di impegno e di responsabilità della ricerca e del pensiero critico a costruire risposte per il futuro a partire dalla creazione di una mentalità aperta a una cultura dialogica intergenerazionale, intersoggettiva e inter/transculturale. In questa prospettiva, la disciplina pedagogica assume uno sguardo poli-referenziale ed extra-disciplinare, mentre costruisce percorsi per favorire una mente transdisciplinare e transculturale. L'articolo tratteggia i compiti dell'Università nella riforma del pensiero in prospettiva transdisciplinare. L'Università, quindi, assume il ruolo di soggetto attivo nel processo di coscientizzazione che permette l'abbandono del disincanto come atteggiamento che porta al disinvestimento sul futuro. La transdisciplinarità non viene assunta come un problema squisitamente accademico, ma come un’epistemologia capace di costruire nuove visioni della realtà e nuove direzioni di senso per l’umana convivenza. La transdisciplinarità, pertanto, diviene problema politico ed educativo: come problema politico pone la questione della responsabilità dell’Università nella produzione della conoscenza per il bene sociale; come problema educativo, invece, apre interrogativi circa il senso della formazione e la necessità di creare coscienze aperte al dialogo e cittadini del mondo. Nella consapevolezza che si tratta di un processo ardito e ancora solo abbozzato, la costruzione di una mente transdisciplinare e culturale capace di dialogare con la complessità corrisponde a una impegnativa trasformazione dell’Università nel rapporto con la società. Questa, infatti, ha un compito formativo e trasformativo sia verso le future generazioni sia verso la società nel suo complesso nel fornire strumenti e chiavi di lettura per il futuro.

 

Despite the neologism was introduced in 1970 (Piaget, 1972), transdisciplinarity is still a concept to be explored, especially in its effects and pragmatic change. The aim of this paper is to highlight the theoretical strength and the value of design. Transdisciplinarity shows the way towards a total cultural change, which corresponds to a transcultural political project. Accepting the challenge of transdisciplinarity, the essay’s aim is to read the problem of the current crisis as a matter of commitment and responsibility for research and critical thinking to generate answers for the future from the creation of an open-minded to a culture of intergenerational, intersubjective and inter / transcultural dialogue. The article outlines the University’s tasks in the thought reform in transdisciplinary perspective. The University, therefore, assumes the role of active subject in the process of awareness that allows the abandonment of disenchantment as an attitude that leads to disinvestment on the future. In this perspective, the pedagogical discipline takes on a poly-referential and extra-disciplinary meaning, while builds paths to facilitate a transdisciplinary and transcultural mind. Transdisciplinarity is not taken as a purely academic problem, but as an epistemology capable of building new visions of reality and new directions of sense for human society. The transdisciplinarity therefore becomes a political problem and education: as a political issue raises the question of the responsibility of the University in the production of knowledge for the social good; as educational problem, however, it opens questions about the meaning of education and the need to create consciences open to dialogue and citizens of the world. Being aware that it is a process daring and still only sketched, the construction of a transdisciplinary and cultural mind able to communicate with the complexity corresponds to a demanding transformation of the University regarding the relation with society. Actually, it has a formative and transformative task both towards future generations and towards society as a whole in providing tools and keys to the future.

 

1. La prospettiva transdisciplinare: il “sogno” (1)

 

I grandi mutamenti culturali sono certamente più lenti delle conquiste della scienza perché richiedono la capacità di abbandonare i nostri schemi di pensiero e le nostre modalità interpretative, ormai consolidate e rassicuranti, per avviarci a un processo che richiede spirito di avventura e capacità di affrontare le conseguenze non previste insite in ogni nuova trasformazione. Le grandi rivoluzioni del pensiero esigono nuove formae mentis non solo agli intellettuali di mestiere o agli studiosi, ma ai cittadini: cambiare il pensiero significa suggerire nuovi assetti culturali, valoriali, edificando le coscienze su strutture axiologiche, critiche e concettuali in grado di accettare le sfide del presente per immaginare il futuro.

Nonostante il concetto di transdisciplinarità abbia fatto la sua comparsa già dal 1970 con il famoso saggio di J. Piaget (1972), il processo di trasformazione, che avrebbe dovuto accompagnare la comparsa del paradigma che ne derivava, appare ancora un lento e pigro divenire. In effetti, ha fatto irruzione contemporaneamente il paradigma della complessità che ha oscurato in qualche modo la scena al suo parallelo e ineliminabile gemello paradigmatico, ossia la transdisciplinarità. La complessità, infatti, sembrava più aderente a una lettura critica della società e delle sue intricate trame così come dei numerosi fenomeni, mentre la transdisciplinarità sembrava più una questione “accademica”, da studiosi e non tanto una nuova prospettiva sulla realtà in grado di incidere sul futuro e rispondere ai problemi concreti, reali e di vita dell’uomo. La transdisciplinarità, quindi, ha subìto l’offuscamento della complessità la quale, invece, rischia un’interpretazione monca, debole e tautologica senza la forza dello sguardo transdisciplinare: la complessità, senza la luce della transdisciplinarità, rimane opaca e si offre ‘nuda’ a coloro che immaginano un futuro senza orizzonti né possibilità. Non c’è progetto politico, infatti, senza quello culturale, senza educazione delle menti e senza impegno verso la costruzione di un prospettiva concreta ed etica di umanizzazione.

È proprio questa attenzione al futuro, alla speranza, che contraddistingue, di fatto, la logica transdisciplinare. Scrive a questo proposito B. Nicolescu (1996/2014): “L’approccio transdisciplinare ci fa riscoprire la resurrezione del soggetto e l’inizio di una nuova tappa della nostra storia. I ricercatori transdisciplinari appaiono sempre più riabilitatori di speranza” (p. 17). È interessante notare che, fin dall’inizio, la questione transdisciplinare è stata posta, da un lato, come questione connessa alla modalità del fare ricerca e del pensiero e, dall’altra, come problema di carattere educativo: l’insegnamento a marca transdisciplinare aveva insito il disegno di un pensiero e di una mente transdisciplinari e con essa un’ipotesi di trasformazione della società. Nel “sogno” (Piaget, 1972, p. 144) transdisciplinare c’è l’utopia della costruzione di una nuova società basata sulla conoscenza in cui l’Università si ponga come contesto attivo di elaborazione di cultura per la trasformazione sociale in grado di incidere sulla politica (Jantsch, 1972) e di operare per l’emancipazione.

 

2. Transdisciplinarità come sguardo olistico e ricerca di senso: verso l’alba

 

La “pedagogia” insita nella società del disincanto (Salomone, 2006; Bontempi & Pocaterra, 2007) è l’annullamento e la frantumazione di ogni sogno, di ogni possibile utopia, di ogni tentativo di dare senso e forma al futuro (Bauman, 2009); è, di fatto, la giustificazione logica e pragmatica alla predestinazione che annienta la speranza (Freire, 1968/2002; 1992/2008) (2). L’obiettivo principale dell’approccio transculturale, invece, è proprio quello di uscire da una crisi che è primariamente crisi culturale. In effetti, in questo momento storico, secondo Nicolescu, siamo di fronte al rischio di autodistruzione; sul piano materiale perché disponiamo di strumenti, di armi che possono portare alla distruzione del nostro pianeta e, quindi, del genere umano; sul piano biologico in quanto per la prima volta l’uomo è in grado di manipolare i codici genetici con conseguenze che ancora non conosciamo; sul piano spirituale perché l’introduzione dell’informatica e la diffusione dei media hanno reso più pesante il rischio di condizionamento delle coscienze e la loro manipolazione su scala mondiale.  Alla stregua di E. Husserl (1954/1961), che aveva visto nella crisi della società la crisi delle scienze e che aveva individuato nel rilancio della soggettiva umana, dell’Io come soggetto capace di intenzionare la realtà, la chiave di volta della fiducia delle scienze e nella possibilità di creare un nuovo umanesimo su base intersoggettiva, la prospettiva transdisciplinare riparte nel considerare l’importanza del soggetto. Infatti, la “realtà multi-schizofrenica complessa” (Nicolescu, 1996/2014a, p. 45) ci restituisce un soggetto che “è a sua volta polverizzato, fino al punto da essere rimpiazzato da un numero sempre maggiore di pezzi separati l’uno dall’altro, ciascuno studiato da discipline differenti” (ibidem).

Per comprendere la valenza di questa nuova centratura sul soggetto, occorre accennare ai pilastri della transdisciplinarità che vogliono superare gli assiomi della logica classica che hanno fondato non solo le scienze matematiche, ma anche quelle umanistiche. Tali pilastri, che determinano l’approccio metodologico della ricerca transdisciplinare, sono:

 

- i diversi livelli della realtà;

- la logica del terzo incluso;

- la complessità.

 

I diversi livelli di Realtà ci aprono alla consapevolezza che non esiste un solo piano interpretativo del reale e anche dell’essere umano, ma che la Realtà è sempre multidimensionale e multireferenziale e pertanto non esplorabile da una sola disciplina. La logica del terzo incluso apre alla comprensione della complessità, anzi è “la sua propria logica privilegiata, nella misura in cui consente di attraversare in modo coerente i differenti campi della conoscenza” (ivi, p. 43). La logica classica del terzo escluso, avverte Nicolescu (ibidem), può essere deleteria nell’ambito sociale e politico, perché “agisce come una vera logica di ‘esclusione’: il bene o il male, la destra o la sinistra, le donne o gli uomini, i ricchi o i poveri, i bianchi o i neri”. La logica del terzo incluso esige una prospettiva e una logica trasgressiva e nello sesso tempo aperta al dialogo. Infine, la complessità è punto di partenza e, nello stesso tempo, oggetto di analisi che porta alla consapevolezza del rischio di frantumazione della Realtà e di perdita della soggettività. La complessità induce al pericolo di generare l’impossibilità della comprensione della Realtà e ancor più dell’essere umano. Scrive a questo proposito Nicolescu: “Il soggetto, il più complesso dei complessi, resta stranamente muto alla comprensione della complessità. Per la ragione che è stato proclamato morto. Tra le due estremità del bastone (3) – semplicità e complessità – manca il terzo incluso: il soggetto stesso” (ivi, p. 49).

L’approccio transdisciplinare si costruisce attorno a tre assiomi:

 

- “assioma ontologico: esistono differenti livelli di Realtà dell’Oggetto e differenti livelli di Realtà del Soggetto;

-  assioma logico: il passaggio da un livello di realtà ad un altro è assicurato dalla logica del Terzo Incluso;

assioma epistemologico: la struttura dei livelli di Realtà è una struttura complessa: ogni livello è quello che è, tutti i livelli esistono contemporaneamente” (Nicolescu, 2014b, p. 161).

 

Queste prime affermazioni costituiscono già alcune risposte per sfuggire alla trappola del disincanto e al conseguente rischio dell’amputazione del futuro e del connesso diritto alla speranza (Milani, 2013, p. 37; 2014). Una prima possibilità sta nel assicurare scientificamente il progetto culturale insito nella transdisciplinarità, assumendolo fino in fondo, restituendo così senso al soggetto umano e fornendo “un senso nuovo alla verticalità dell’essere umano nel mondo. [L]a visione transdisciplinare propone la verticalità cosciente e cosmica dell’attraversamento dei differenti livelli di realtà. Ed è questa verticalità che costituisce, nella visione transdisciplinare, il fondamento di ogni progetto sociale vitale” (Nicolescu, 1996/2014a, p. 65). Questo uomo è un soggetto che “inventa se stesso” (ivi, p. 80), che si autotrascende e che non può mai essere definito per sempre: “La visione transdisciplinare è incompatibile con ogni tentativo di ridurre l’essere umano a una definizione o a qualsivoglia struttura formale” (ivi, p. 81). Ne deriva che l’uomo ha come progetto la sua autotrascendenza in cui è implicita la responsabilità verso i rischi dell’autodistruzione. Scrive Nicolescu: “Ogni essere umano è libero di aprirsi, per propria volontà e per propria auto-trasformazione liberatrice, all’auto-conoscenza del proprio destino spirituale. Il diritto a questo ‘senso’ particolare dovrà essere iscritto tra i diritti dell’uomo” (ibidem).

Questa autotrascendenza, che porta all’“uomo trascendentale di se stesso” cioè all’“uomo che nasce al nuovo (ivi, pp. 81-82) richiama la necessità della scelta e dell’impegno che implica la possibilità e, allo stesso tempo, il dovere di generare una nuova umanità capace di riprendere in mano in modo consapevole le sorti del mondo, a partire dall’impegno scientifico transdisciplinare, che diviene anche transculturale. A partire dall’assunzione consapevole di questa prospettiva, possiamo dar vita a un soggetto incurante delle gabbie costruite tanto dall’atteggiamento mondano (Husserl, 1913/1965), quanto dai punti di vista assolutisti e capace di trasgredire le barriere disciplinari e culturali in vista di una prospettiva inclusiva e complessa. La transdisciplinarità, infatti, “apre uno spazio illimitato di libertà, di conoscenza, di tolleranza e di amore” (Nicolescu, 1996/2014a, p. 83).

 

3. Il paradigma transdisciplinare come progetto politico: il risveglio

 

La crisi attuale è certamente l’esito di una centratura dell’uomo sull’asse del presente (Bauman, 2009), assolutamente sconnesso sia dal passato sia dal futuro, ma appare anche l’esito incontrastato e prevedibile di uno sviluppo umano unicamente interpretato alla luce del principio economico-finanziario. La dittatura dell’economia e della finanza sulla politica e, conseguentemente, sulle altre modalità di interpretare il mondo non solo governa il globale e il locale, ma condiziona pesantemente i rapporti umani a tutti i livelli, anche quelli tradizionalmente più legati alla sfera privata, come dimostra il consumismo affettivo (Bauman 2003/2001; 2005/2011b).

Dimenticando l’umiltà della lezione dell’inefficacia e dalla non riduzione di alcuni problemi umani, questa dittatura, che è sostenuta da quella tecnocratica che si regge sul diktat dell’efficacia e dell’efficienza, “caricatura dell’effettività” (Nicolescu, 1996/2014a, p. 94), costituisce, sul piano politico-sociale, l’esempio di una operazione culturale miope, monoculare, incapace di assumere la complessità. È l’ipostatica immagine del tramonto del modello disciplinare, se non iscritto nel più ampio orizzonte transdisciplinare, cui corrisponde un’immagine inconsistente di soggetto umano.

Nella prospettiva economica-finanziaria, i bisogni umani sono trascritti in termini di perdite e di guadagno, di capitale e di ammanco, di investimento e disinvestimento, di buchi finanziari e di interventi delle banche (o viceversa). Può accadere, quindi, che il welfare “salti” e così la coesione sociale perché non necessari e “sostenibili” nella logica economica. Allo stesso tempo, il concetto di sviluppo coinciderà unicamente con l’aumento del PIL e la felicità, pertanto, consisterà nel possesso del denaro e dell’altro attributo della società dell’effimero, ossia il successo, traducibile con la popolarità mediatica. In questa logica, si giustifica anche l’aberrante proposta dell’eliminazione dei disabili perché erodono risorse e molto spesso neppure le producono (4).

Nella logica transdisciplinare effettività ed affettività non possono essere scisse. “L’intelligenza è la capacità di leggere contemporaneamente tra le righe del libro della natura e tra le righe del libro dell’essere interiore. Senza passerelle tra gli esseri e le cose, le avanzate scoperte tecno-scientifiche non servono che ad aumentare una complessità sempre più incomprensibile” (ivi, p. 99). Il senso, quindi, va ritrovato nel restituire al soggetto l’intellegibilità dei livelli di Realtà. In questa direzione, Nicolescu afferma: “La rivoluzione dei nostri giorni non può essere che una rivoluzione dell’intelligenza, che trasformi la vita individuale e sociale in un atto estetico tanto quanto etico, l’atto di rivelazione della dimensione poetica dell’esistenza” (ibidem). Crediamo che questo sia anche il compito decisivo della pedagogia oggi, soprattutto di una pedagogia militante che nel quotidiano, operando a mani nude, impegnata a restituire bellezza (Milani, 2013, pp. 30-42), dando spessore alla vita alla ricerca della poeticità nella prosaicità del quotidiano.

La visione monofocale dell’economia e della finanza è generatrice di disuguaglianze, esclusioni, annientamenti umani e sostiene una logica non accettabile sul piano etico perché fondata sul visione mercenaria della vita, sulla schiavitù e sullo sfruttamento, sul ricatto basato sul bisogno di sopravvivenza. Sul lato opposto, poi, la dittatura economico/consumistica, generando bisogni indotti ed effimeri ed alimentano il senso del possesso del potere, costruisce il terreno fertile per il potere delle lobby economiche, dei centri di potere occulto e delle mafie. La scissione tra i livelli di Realtà del Soggetto e dell’Oggetto e la frammentazione indotta dalla parcellizzazione dei problemi e dell’essere umano portano a un’idea di sviluppo che, mercificando la vita e mistificando il reale, tradiscono la possibilità di assolvere al compito principale di promuovere sviluppo umano come sviluppo di autotrascendenza.

Il modello economico-finanziario, poi, alimenta la disillusione e il disincanto perché incapsula i soggetti in meccanismi incomprensibili e predeterminati, alimentati da una burocrazia a marca kafkiana, per i quali ogni sforzo, ogni impegno, ogni fatica appaiono inutili: il diktat dei bilanci economici non è altro che una nuova forma aggiornata di predestinazione che induce a un pensiero magico la cui estrema conseguenza è che la propria riuscita personale sia il frutto del caso e che tanto vale consegnare la propria vita alla dea fortuna (reificata emblematicamente nel gioco d’azzardo e nelle varie forme di lotterie o similari). Ne esce una società dei vinti, una società generatrice di nuove forme di oppressione nelle quali opera fortemente la logica dello “scarto” (Bauman, 2004/2011a).

In questa direzione, gli studiosi della transdisciplinarità, vedendo in questa distorsione monofocale dell’economia e della finanza un nodo centrale da affrontare per cambiare il corso autodistruttivo del genere umano, auspicano che si sviluppi un’economia transdisciplinare fondata sul postulato che l’economia debba essere al servizio dell’essere umano e non viceversa (De Freitas, Morin & Nicolescu, 1994, art. 12).

La logica economico-finanziaria è la stessa che genera conflitti spesso mascherati sul piano religioso e/o ideologico e che assolvono al compito di mantenere i soggetti nel più totale oscurantismo e costantemente sotto la minaccia della sicurezza violata (Bauman, 2000/2001). Proprio in questa direzione, la transdisciplinarità si costruisce anche come progetto politico sia perché afferma il valore dell’essere umano in quanto tale, e lo àncora alla necessità di riconoscergli una cittadinanza planetaria che lo impegna a riconoscere la Terra come propria Patria (Morin & Kern, 1993/1994), sia perché introduce alla pluralità culturale, al dialogo, alla tolleranza, disegnando così un progetto politico di società basato sull’ educazione di un’intelligenza votata alla cittadinanza planetaria.

 

4. L’Università sulla soglia transdisciplinare tra impegno e responsabilità: la veglia

 

Il progetto politico insito è forte quanto è essenzialmente forte e provocatorio ogni progetto educativo rivolto a svegliare le coscienze e a costruire soggettività e consapevolezza. Ma questo stesso disegno politico incluso nella transdisciplinarità non è scevro da derive e rischi di affossamento. In questa direzione, la responsabilità primaria è sicuramente di chi fa formazione e, ancor di più, delle Università che hanno il compito di strutturare le coscienze, di aprire le menti e di dotare strumenti di pensiero.

Il disincanto e il senso di impotenza che lo accompagna si vincono non solo e non unicamente con un progetto socio-economico più attento ai bisogni umani, ma anche con una rivoluzione centrata sulla disobbedienza culturale intesa come opzione che rifiuti l’asservimento a logiche che tradiscono l’uomo in quanto tale. In questa direzione, l’attenzione ai livelli di Realtà dell’Oggetto e del Soggetto non possono chiudere l’esistenza in un materialismo consumistico, né tantomeno in una logica scientista priva di limiti e di dubbi, ma debbono offrire strumenti di realizzazione recuperando anche il senso del sacro nella vita e nell’uomo stesso. Fuori da questa logica, includente la sacralità dell’esistente e dell’esistere, viene a cadere la “verticalità dell’essere umano” e con essa un possibile “progetto sociale vitale” in quanto “il sacro non si oppone alla ragione: nella misura in cui esso assicura l’armonia tra il soggetto e l’oggetto, il sacro fa parte integrante della nuova razionalità” (Nicolescu 1996/2014a, p. 81).

Il progetto di un soggetto intenzionale (Husserl, 1913/1965; Bertolini, 1988) e autotrascendente (Nicolescu) implica la possibilità di guadagnare una multifocalità attraverso lo sguardo molteplice delle discipline in un accordo transdisciplinare che ha anche un’accezione interculturale e soprattutto transculturale.

Ci chiediamo, però, se i progetti formativi universitari siano in grado di sostenere “l’occhio transdisciplinare ed extradisciplinare” (Morin, 1999/2000, p. 113). In questa prospettiva, pur movendoci nella rigorosa fiducia verso la sensatezza disciplinare, è indispensabile tracciare linee di apertura a partire da un recuperato dialogo interdisciplinare che conduca a visioni e strutture transdisciplinari.

Forse ciò che appare indispensabile è soprattutto la capacità di trasgredire: ci manca una saggia indisciplinarità (Nicolescu, 2014b) che non solo ci tragga fuori dalle strettoie disciplinari, ma ci obblighi a un sano strabismo culturale e a una indisciplinata reazione culturale che dal sonno ci porti alla veglia, anzi a una vigile veglia che impedisca l’autismo culturale e sociale.

In questi ultimi anni, le Università sono esse stesse asservite a una logica economica /burocratica che sta impoverendo e indebolendo il potere trasformativo e liberante della cultura e quello sociale nonché la capacità creativa e inventiva dei ricercatori. In questo quadro, occorre uno sforzo per deviare da traiettorie che rischiano di depistare l’Università dal suo compito principale: favorire innovazione e cambiamento culturale e sociale, formando le generazioni e intessendo trame col mondo del lavoro e con tutti i livelli della società.

L’Università, infatti, appare anch’essa vittima del disincanto e del fatalismo e sempre più lontana dai luoghi in cui si intessono le trame per un progetto sociale e politico. Si fatica a tenere insieme micro e macro, progettualità a breve scadenza e dimensione a lungo termine, obiettivi minimi e sguardi dagli ampi orizzonti, con il rischio dell’obsolescenza e dell’insignificanza non solo a livello macro, ma soprattutto a livello micro, delle singole coscienze, dei soggetti che è deputata formare.

L’incapacità di dialogare, però, nasce anche dalla incapacità transdisciplinare: non siamo ancora totalmente in grado di offrire letture complesse, che dialoghino con altre discipline verso progetti comuni, perché la semantica specifica disciplinare non ha costruito “ponti”, ma steccati. Di qui la difficoltà, ad esempio, della progettualità politica di dialogare con quella pedagogica e viceversa, o della biologia di dialogare fruttuosamente con l’etica e ancor di più dell’etica con la politica: manca una visione d’insieme che costruisca, se non utopie, almeno progetti condivisi, il cui prezzo non sia la logica dello scarto, anche della cultura, soprattutto quella umanistica (Ordine, 2013).

Il compito primario di formare le coscienze, di attrezzare culturalmente e socialmente i cittadini diventa oggi, quindi, sempre più un compito di coscientizzazione e di liberazione (Freire, 1968/2002) al cui centro, però, è posta la prospettiva transdisciplinare, rispondente a un mondo sempre più complesso e globalizzato e a un’evoluzione scientifica sempre più rapida e a carattere esponenziale.

Eppure l’Università è anche quella sede di confronto intersoggettivo, interculturale e intergenerazionale che connota il processo formativo e che è garanzia di un autotrascendimento del soggetto, delle collettività e delle generazioni stesse. L’idea di aprirsi a una multifocalità e multirefererenzialità intergenerazionale ci pare idonea a superare lo scarto generazionale e la perdita di valori insita in una società che consuma rapidamente quanto produce e che mette scadenze a ideali, progetti, visioni. In quest’ottica, i soggetti, tutti, conquistano una prospettiva non chiusa sui compiti ristretti della propria generazione, ma assumono la responsabilità delle proprie scelte nella logica della cura transgenerazionale, in cui le decisioni del presente rileggono il passato e tengono conto del futuro, ma soprattutto consegnano un senso alle generazioni. L’idea della transgenerazionalità non intende negare la storicità che accompagna l’esistere e il farsi delle generazioni, ma intende costruire ponti di significatività attraverso la condivisione di prospettive culturali, valoriali ed etiche, in un processo che vede al centro il recupero della testimonianza alla ricerca di senso e di sensi per una umanità in progress.

In questa direzione, crediamo che, nel tentare di traghettare la collettività fuori dalla stagnazione del disincanto e della perdita di senso che tranciano dalla storia il futuro e il diritto alla speranza, i compiti dell’Università siano oggi sempre più complessi. Possiamo sinteticamente richiamarli in una lista provvisoria, ma non fragile:

 

- aumentare la coscienza della necessità di assumere una prospettiva transculturale a partire dalle inter-poli-transdisciplinarità (Morin, 1999/2000, pp. 110-124);

- costruire strutture epistemiche dialoganti fondate sul rigore, sull’apertura e sulla tolleranza quali tratti fondamentali dell’attitudine interdisciplinare (Nicolescu 1996/2014a, p. 127);

- contribuire al dialogo socio-culturale e politico per costruire possibili progetti che favoriscano soluzioni che abbiano al centro lo sviluppo umano in tutte le dimensioni e in dialogo e apertura con la diversità e la pluralità;

- aprire le menti a nuove prospettive di senso, a possibili Weltanschauung che impediscano l’alienazione umana e che non rinneghino anche gli aspetti spirituali e la dimensione del sacro che hanno sempre caratterizzato la storia dell’umanità;

- promuovere negli studenti un pensiero e una mente transdisciplinari in grado di essere transculturale e transgenerazionale;

coscientizzarsi per coscientizzare e liberarsi per liberare (Freire, 1968/2002): prendere coscienza dei condizionamenti culturali, sociali e scientifici che possono impedire il pieno dispiegamento della creatività e dell’innovazione e la ricerca della verità e favorire nei soggetti un pensiero altrettanto libero e dialogante;

riscoprire e promuovere il ruolo degli intellettuali produttori di coscienza critica e capacità di immaginare utopie condivise;

- essere un soggetto attivo del cambiamento sociale e politico.

 

Con quest’ultima obiettivo, ritorniamo di fatto alle origini: già nel 1970, al Séminaire sur l’Interdisciplinarité dans l’Université - organizzato dal CERI all’Università di Nizza dal 7 al 12 septembre – E. Jantsch aveva chiaro che l’approccio transdisciplinare apriva accanto a quella che possiamo definire una responsabilità epistemica, anche una responsabilità sociale e politica cui l’Università non avrebbe dovuto sottrarsi.

Con l’auspicio che il rinnovamento paradigmatico non sia solo un’operazione di facciata, chiudiamo con il pensiero di Jantsch (1972, p. 125) circa il compito dell’Università: “Questo compito, che consiste nel far uscire l’università dal suo ruolo di servitore passivo verso i diversi elementi della società, e l’allentamento delle ambizioni personali – anche egoistiche – dei membri della sua comunità per farne un’istituzione partecipante attivamente al processo di pianificazione sociale, esige una trasformazione profonda sul piano delle finalità e del pensiero, così come del comportamento delle istituzioni e degli individui. Questa mutazione darà all’università la sua libertà, la sua dignità e la sua importanza – tutte qualità che sono state grossolanamente deturpate nel corso di un processo nel quale ci si serve dell’università – ma senza attendere né permettere un’effettiva partecipazione da parte sua. Noi abbiamo tracciato a grandi tratti la via irta di insidie che condurrà l’università alla interdisciplinarità e alla transdisciplinarità, abbozzando così il ruolo attivo e nuovo che giocherà nella società”.

 

Note

 

(1) Nel suo famosissimo saggio, J. Piaget (1972), dopo aver descritto la transdisciplinarità, dichiara che si tratta ancora di un “sogno” (p. 144). Questa metafora ci sembra calzante ancora oggi e ispirerà la traccia del nostro contributo.

(2) È interessante notare che, in un contributo più recente, B. Nicolescu (2014b, p. 192) cita proprio P. Freire in merito alla sua famosa affermazione ne La pedagogia degli oppressi che dice una “parola vera” significa trasformare il mondo. Si ribadisce, quindi, come la transdisciplinarità, introducendo una nuova visione del mondo, suggerisce anche una via per la trasformazione del mondo stesso.

(3) B. Nicolescu utilizza la metafora del bastone per spiegare la logica del terzo incluso: anche se volessimo tagliare un bastone in più parti, avremmo sempre due estremità tenute insieme dai pezzi di bastone: “Alla barbarie dell’esclusione del terzo risponde l’intelligenza dell’inclusione. Perché un bastone ha sempre due estremità” (p. 43).

(4) Ci riferiamo qui alle note tesi P. Singer, professore di bioetica, M. Metdiijk, fisico e filosofo, B. Edward embriologo.

 

Bibliografia

 

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